sabato 8 marzo 2008

LE LUCERNE DI BAIA




Il napoletano, Claudio Ripa, che tanto prestigio ha portato all’italia nelle competizioni di caccia subacquea, in quest’articolo, tratto da MONDO SOMMERSO, giugno 1967, si cimenta anche nell’archeologia

INTERESSANTI RITROVAMENTI TRA LE ROVINE DELLA CITTÀ SOMMERSA
Un nuovo importante recupero archeologico tra le rovine sommerse di Baia. Il bradisismo ha sprofondato lentamente nel corso di un millennio e mezzo la suggestiva città della Roma imperiale che s’affacciava sulle acque sacre al culto di Venere, Scoperte e catalogate centinaia di lucerne di ottima fattura del I sec, dopo Cristo, Il lavoro è stato terminato da un gruppo di subacquei napoletani, tra i quali Claudio Ripa, che già nel passato aveva strappato alla sabbia e al fango di Baia preziose testimonianze di storia.
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LE LUCERNE DI BAIA di CLAUDIO RIPA
Fu, all’inizio, un’operazione basata sulla fiducia, movimentata da colloqui delicati. Hanno truvato ‘e lampetelle romane a Baia!., ci disse, in tutto segreto, uno dei nostri amici pescatori. Spettò a noi condurre poi una complicata indagine, per avere particolar più concreti. Si mosse il giro delle conoscenze e alla fine potemmo venire a capo della faccenda, non dopo aver assicurato una nostra spassionata iniziativa presso la Soprintendenza alle Antichità per il riconoscimento del giusto premio. L’esplorazione sottomarina del tratto di mare antistante il litorale fiegreo non ci aveva dato, quest’anno, frutti apprezzabili. E ciò, malgrado una impegnativa serie di ricerche, nel quadro di una campagna archeologica già preventivamente stabilita. Un primo sopralluogo sulla zona finalmente rivelata , ci mise di fronte a serie difficoltà: i ruderi sommersi che nascondevano le lucerne erano sepolti sotto strati di sabbia e sassi, Per raggiungere i pavimenti delle stanze, inoltre, bisognava sgomberare i vani da enormi massi e sollevare le macerie dei solai. Qualche ottimo esemplare di lucerna, rinvenuto durante questa prima immersione, ci spronava a continuare nell’opera iniziata. I massi più pesanti li avremmo spostati con le apposite sacche da riempire d’aria. Per la sabbia e il fango si scartò invece l’idea di una normale sorbona per non arrecare danni agli oggetti: occorreva invece un’apparecchiatura dalle dimensioni e capacità ridotte. Adottammo così un piccolo compressore (messo a disposizione da Armando Carola, capo equipe, della quale facevano anche parte, tra gli altri, Luigi e Giovanni Lucignano, Migliorini e Massimo Scarpati), cui venne applicato un tubo del diametro di circa cento millimetri, chiuso all’imboccatura da una rete metallica in modo da evitare l’aspirazione anche dei più piccoli oggetti come monete, chiodi, frammenti vari. Alla seconda immersione, andai per primo. Il panorama mi era noto per averlo fotografato più volte, ma stavolta non sapevo da dove iniziare, Mi diressi verso un muro che riuscii ad intravedere nell’acqua non limpida. Nuotai lungo il muro e con le mani rimossi sabbia e detriti in un punto centrale, Scoprii alcune piccole lucerne di fattura semplice. Più tardi, con gli altri, fu possibile raccogliere un centinaio di esemplari prima che l’acqua diventasse una grossa macchia nera. La successiva immersione fu meno caotica; ci dividemmo più dettagliatamente i compiti e cominciammo a lavorare con le sacche di plastica e la sorbona, finché non liberammo diversi metri quadri di fondo. Scoprii uno strato di lucerne con le quali vennero riempiti numerosi cesti che, dietro segnale, calarono dalla barca-appoggio. Era tardi quando decidemmo di tornare e la barca era letteralmente piena di ceste colme di lucerne.Data l’ora non riuscimmo a metterci in contatto con la Soprintendenza di Napoli, sicchè depositammo il materiale presso l’anfiteatro Flavio di Pozzuoli affidandolo all’assistente capo alle Antichità, Angelo Angellotti. Il giorno dopo ci mettemmo in contatto con il dottor Giorgio Buchner della Soprintendenza il quale, dopo aver esaminato le lucerne che fece risalire al primo secolo dopo Cristo, decise di accompagnarci per poterci assistere durante le ricerche e le successive immersioni. Per fortuna, quel giorno l’acqua era abbastanza chiara, tanto da permettere al dottor Buchner di osservare dalla barca con un batiscopio come eseguivamo il lavoro. I suoi consigli frutto di una lunga esperienza di lavori nell’isola d’Ischia, ci permisero di eseguire uno scavo secondo i dettami della moderna tecnica archeologica. Questa volta scattai numerose fotografie durante ciascuna fase dell’operazione, cercando anche di documentare i vari strati che ricoprivano le lucerne. Lavorammo per tutto il giorno con un ritmo frenetico. Man mano che liberavamo il vano dai massi e dai detriti, i muri perimetrali ci mostravano la conformazione della stanza. Ci rendemmo conto della quantità di macerie che ricopriva il pavimento. Recuperammo altre centinaia di lucerne, erano in maggioranza di tipo semplice; ma quelle figurate che trovammo erano di ottima fattura con pregi artistici apprezzabilissimi. Queste operazioni si susseguirono per giorni e giorni, con la speranza di rinvenire anche un pavimento a mosaico sul fondo del vano. Purtroppo dopo circa due settimane di lavoro, ci accorgemmo che il pavimento non era a mosaico ma in calcestruzzo, Evidentemente capitammo in un deposito ove erano state conservate le diverse migliaia di lucerne. Ma, era proprio un deposito? Ed a cosa erano servite tante lucerne, visto che quasi tutte presentavano il beccuccio annerito dall’uso? Qualcuno avanzò l’ipotesi che fossero state usate per le feste delle lampadoforie * che si tenevano nella zona ed erano in gran voga presso i romani; altri, che fossero servite ad illuminare le banchine del porto di Pozzuoli, in occasione dell’arrivo di qualche personaggio. C’è chi avanzò l’ipotesi che le lucerne fossero servite per illuminare il ponte di navi che Caligola fece costruire fra Baia e Pozzuoli per attraversare di notte, in sella al suo cavallo, il tratto di mare che separa le due località, perchè si avverasse la profezia che lo voleva imperatore di Roma se fosse riuscito in tale impresa.
Supposizioni fantastiche senza dubbio. Resta comunque il fatto del rinvenimento piuttosto singolare, almeno per quello che ne sappiamo sui fenomeni che hanno interessato la ripa Puteolana. La scienza ci dice che il litorale è stato interessato da un movimento bradisismico e senza dubbio la cosa risponde a verità, tanto che è da attribuirsi a questo movimento il decadimento e l’abbandono della zona. Ma noi che conosciamo il fondo marino ove sono sommersi i ruderi della città di Pozzuoli e di Baia, noi che abbiamo osservato da vicino i resti di numerose abitazioni, che abbiamo rinvenuto numerosi reperti intatti come statue, are, monete, - suppellettili di ogni genere, non possiamo non considerare un’altra ipotesi: che qualche fenomeno improvviso abbia determinato l’abbandono da parte delle popolazioni di alcune delle più ridenti cittadine della Roma Imperiale. Un giorno, forse, avremo una risposta definitiva a questi interrogativi. CLAUDIO RIPA

I TESORI DI BAIA Da uno scritto dell’illustre archeologo professor Amedeo Maiuri.
Trentanni fa l’archeologia napoletana potè registrare un avvenimento eccezionale. Si dragava il piccolo porto di Baia che, a quel tempo, oltre ai velieri che vi ormeggiavano per il carico della pozzolana. serviva anche per l’attracco dei battelli della linea per Procida e Ischia. Ma i fondali erano bassi e gli approdi rischiosi le carte dell’Ammiraglio segnavano secche sommerse dal limo; occorreva una draga e una benna robusta per rimuovere dal fondo quelle secche. Incominciato il lavoro e calata in acqua la benna per addentare e divellere, si vide che in luogo di secche e di scogli, venivano tra le mascelle della secchia brandelli di fabbrica, pezzi di pavimenti a mosaico. frustuli di marmo e qualche membro dilacerato di Statua. Era il lido di Baia che risommava dal fondo delle acque. L’archeologia italiana fu colta di sorpresa dal dragaggio delle acque di Baia. Eppure qualche anno prima vi era stata ripescata una bella testa di Amazzone alla quale la lacerazione dell’arpione da presa aveva aggiunto una nota più dolente all’amara piega delle labbra, e due stupende repliche di una statua femminile di tipo fidiaco opera di due artisti neoattici che avevano inciso nelle pieghe del panneggio le loro firme in caratteri greci. Nonostante quel violento lavoro di dragaggio dello specchio d’acqua antistante il molo e le banchine di Baia, la messe ricuperata fu ingente: pezzi d’architettura in colonne, capitelli, trabeazioni, tutti di arte imperiale del periodo adrianeo e antoniniano e di così considerevole mole da far supporre che appartenessero a edifici non troppo inferiori per grandiosità a quelli superstiti lungo la ripa, e plutei ad altorilievo di bell’arte decorativa, sculture che per il soggetto e per l’esecuzione rivelano un gusto di selezione e non una banale e dozzinale ostentazione di lusso. Le sculture rimaste immerse nel fonde melmoso vennero tratte alla superficie senza traccia di usura e di corrosione con le sole mutilazioni causate dalla caduta o dallo Strappo della benna. Sorte meno fortunata toccò invece a quelle rimaste a lungo a fior d’acqua lambite dal mare: i litografi hanno esercitato su quelle sculture il loro mestiere di avidi divoratori e roditori del marmo come sulle colonne del Tempio di Serapide a Pozzuoli. Nelle acque di Baia, sacre al culto di Venere, non poteva mancare Eros; oltre a un bel gruppo di Eros e Psiche, un torso di Erote di squisita modellatura riemerse un giorno dal fondo, si da evocare la gentile favola d’Amore nata dalla letteratura umanistica napoletana. L’esplorazione subaquea di Baia non è impresa d’isolati sportivi, Non si tratta del ricupero di qualche anfora coperta da belle incrostazioni di molluschi o di un frammento di scultura e magari d’una statua, ma dell’esplorazione di un intero quartiere sommerso che dall’attuale linea del molo si spinge per oltre 120-150 metri entro la rada per una profondità variabile dai 3 ai 10 metri. Lo specchio di acqua è compreso fra la Punta d’Epitaffio con le sue ancora possenti costruzioni d’una villa marittima sprofondate nel mare, e il promontorio del Castello dove sorgeva un tempo la Villa di Cesare e il pretorio imperiale con il suo porto e le Sue installazioni marittime: un limite netto è segnato, lungo la costa, dall’antica via litoranea che conduceva da Baia a Pozzuoli, la via Herculanea lungo la quale Ercole avrebbe condotto le mandre di buoi reduce dal suo favoloso viaggio in Iboria: il nastro scuro della pavimentazione stradale si può scorgere ancora con acque calme e chiare a oltre 6-8 metri di profondità. Le maggiori difficoltà della ricognizione e dei ricuperi si debbono alla natura del fondo marino, formato non da sabbie provenienti dal disfacimento di terreni calcarei, ma dallo spappolamento del terreno pozzolanico delle colline di Baia e dal suo ritorno allo stato fangoso, cosicchè il minimo movimento solleva il fondo limaccioso e intorbida le acque. Baia è sommersa dal bradisismo in terra e in mare. Anche entro terra le sue grandi sale e le ampie piscine che raccoglievano le sorgenti termali e i vapori caldi scaturenti dal sottosuolo, sono anch’esse sprofondate lentamente fino a ostruire la bocca di quelle acque e di quei vapori. Oggi quelle sale e quelle piscine appaiono interrate fino al sommo dei nicchioni e degli archi che si ornavano di grandi sculture e vi si cammina all’asciutto, mentre alcune belle stampe dei primi anni dell’800 ci mostrano la più grandiosa di quelle sale, il Tempio di Mercurio, con le nicchie ancora scoperte a metà altezza e l’interno invaso dalle acque. sicché un servizievole Cicerone prestava le sue robuste spalle per il traghetto da una parte all’altra della sala: un masso di fabbrica, precipitato dalla volta, faceva da pietra di guado. Oggi 20-30 centimetri al più coprono il primo affiorare del terreno torboso e acqueso, mentre il piano originario del pavimento si trova a non meno di 6-8 metri di profondità. Lo scavo pertanto richiede mezzi idonei quali lo scavo d’un bacino lacustre colmato da un’alluvione e quali ha richieste lo scavo della Terma suburbana d’Ercolano, dove s’è dovuto superare il duplice ostacolo del fango pietrificato e dell’acqua ricoprente per 3 metri il pavimento. Erano sale e piscine che costituivano la parte essenziale e più nobile delle terme baiane. unendo alla grandiosa architettura la sontuosa decorazione di stucchi, mosaici e sculture.

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