sabato 8 marzo 2008

ARCHEOLOGIA SUBACQUEA le origini

Da un articolo di Claudio Ripa


UNA SCIENZA DAI MOLTI PADRI di Claudio Ripa


Benché nel 1960 Bucher con la passeggiata subacquea nella città sommersa di Baia, in un servizio realizzato da Pittiruti per la televisione e commentato da Amedeo Maiuri, avesse illustrato le meraviglie archeologiche nascoste nel nostro mare, solo dopo la scoperta delle prime due statue della Grotta Azzurra di Capri, si ebbe una polarizzazione dell ‘importanza e del fascino dell archeologia subacquea. Infatti, la polemica suscitata dal recupero delle stesse statue ed il “battage” pubblicitario di ” Mondo Sommerso” ripreso dalla televisione e dalla stampa mondiale, fecero sì che moltissimi subacquei fino ad allora indifferenti incominciassero ad interessarsi di archeologia subacquea. Mentre la denunzia ed il recupero delle due statue fatta da Maltini e Solaini, per onore di cronaca va detto che il primo ad avere individuato le statue fu Gennaro Alberino, sommozzatore di professione, così come a Baia, la maggior parte delle scoperte furono merito di sommozzatori o di pescatori professionisti. E’ quindi estremamente difficile andare alla ricerca, in Campania, di padri fondatori” dell’archeologia subacquea. Dove cercare, infatti? Tra gli studiosi come Gunther, che s’interessò, tanti anni fa, delle nostre antichità sommerse, ed in particolare di quelle della zona del litorale di Posillipo? Tra gli eredi dei” sakanaciuki”, come il Professore Miraglia, mio padre, che a volte scoprivano cocci, ma che sott’acqua andavano per fiocinare pesci, alla maniera ancora oggi adoperata dai Polinesiani? Tra i vecchi vongolari e fiocinatori, che ancora oggi pattugliano le acque alla ricerca di qualche preda? Oppure tra i tanti che, per sport o per divertimento, per spendere il tempo libero o per la spinta di chissà quale altra motivazione, in acqua ci vanno, sorvegliano, perlustrano, alla ricerca di tutto e di niente, a volte armati di fucile o di camera subacquea, spesso senza nemmeno questi attrezzi, e sono e, la ricerca va fatta un pò fra tutti costoro: come ignorare uomini come Raimondo Bucher, il quale può essere considerato a giusto merito uno dei padri fondatori dell’ archeologia sottomarina in Italia, quanto meno per avere dato credito ed impulso quasi mezzo secolo fa alla fotografia subacquea ed area di zone sommerse. E come fare ad ignorare quei dilettanti, che via via hanno ampliato il loro bagaglio di conoscenza, e più che fidarsi della fortuna, in mare ed alla ricerca di verità, hanno cominciato ad andarci con una base di preparazione scientifica? Certamente, tanto sviluppo l’archeologia subacquea non avrebbe potuto avere se l’invenzione di Cousteau e Gagnan, l’autorespiratore, non fosse riuscito, subito dopo la guerra, ad ‘imporsi anche fra i non professionisti dell’immersione. E’accaduto invece che, mettendo l’immersione subacquea alla portata tutti, l’autorespiratore abbia portato sott’acqua studiosi ed appassionati. E così che la ricerca subacquea è diventata l’occupazione di pochi felici, attività di molti infelici. Infelici per il modo in cui vanno le cose in Italia e dove i sommozzatori che si interessano di archeosub, pur volendo spesso offrire alle Soprintendenze collaborazione, sono spesso trattati come petenti in attesa di una grazia. Diciamo allora che la linea di sviluppo dell’archeosub in Campania muove dalla ricerca informata e dotta (occasionale, a volte mirata, o l’una e l’altra insieme); prosegue sotto la spinta della passione di dilettanti i quali mettono a disposizione della Soprintendenza la propria opera; arriva finalmente, ed è cosa di questi ultimi mesi, ad una felice sintesi, quale si è a Baia tra ricerca ufficiale e ricercatori privati. Ma anche questo, ahimè, come fatto episodico, anche se non del tutto inedito, dato che proprio in Campania, altre volte si erano avuti felici momenti di collaborazione tra pubblico e privato come l’esplorazione tra De Franciscis e Lamboglia; la ricerca del presunto Porto di Paestum condotto da un gruppo richiesta del compianto Mario Napoli; la verifica infine le ipotesi scientifiche del Professore Andreae sul ninfeo di Punta Epitaffio. L’archeologia subacquea è una scienza ancora molto giovane e ha sofferto e soffre di problemi di gioventù,ma farà la sua strada,così come l’ha fatta l ‘archeologia tradizionale. Basterà non considerarla, come è stato spesso fatto, un’attività dalla quale escludere gli appassionati, i “piccoli Schlieman”, che sono tanti, e operano in tutto il mondo. La diffusione della pratica dell’immersione subacquea, la rarefazione delle prede in campo ittico, la semplicità d’impiego dell’autorespiratore autonomo, sono elementi i quali potranno portare tutto fuorché danno, alla ricerca archeologica in sito sommerso. Come giustamente ricordava tempo fa il francese Denis Fonquerle, della CMAS, “ancora prima che gli Stati si decidessero a considerare l’archeologia subacquea una scienza ufficiale, emanassero leggi per la tutela dei luoghi e dei relitti e prendessero provvedimenti per l’applicazione di tali leggi, ricercatori volontari, spontaneamente e di buon grado, hanno gettato le basi di questa nuova disciplina ed hanno contribuito al suo sviluppo”. Questo, è bene dirlo, è proprio il caso dell’Italia e ancora di più della Campania: lo spartiacque tra “ricercatore scientifico” e ricercatore va abolito, il secondo incoraggiato a prestare la sua opera al fianco del primo (quando questo esiste). I rilievi e gli scavi in mare non sono più l’appannaggio di una cerchia ristretta, depositaria di un ermetico segreto. Persone oneste, attente a ciò che fanno, ed esperte del proprio lavoro, se ne trovano anche fra di noi, “che non siamo pubblici dipendenti, e nemmeno avventurieri”. Responsabilizzare gli archeosub “della passione” significherebbe rompere la catena che purtroppo ancora lega in un cerchio di omertà i predoni del mare. Lo dico perché penso a quanto abbiano sofferto le antichità sommerse della Campania, proprio ad opera di costoro, e di quanto sarebbe stato possibile arricchire il patrimonio degli studi subacquei nel nostro paese se essi fossero stati incoraggiati ad operare a vantaggio della comunità, a lavorare per la scienza, come quei pochi dei quali mi onoro di far parte. La storia dell’archeologia subacquea è stata scritta, purtroppo, anche dai predoni; ma, ahimè, quanta parte del tesoro che essi hanno trovato, nel mare antico, è ormai perduto alla conoscenza comune.

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